I Finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo nei confronti di 4 persone a vario titolo indagate per la partecipazione e il concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso “Cosa nostra” e trasferimento fraudolento di valori aggravato dalla finalità di aver favorito le articolazioni mafiose cittadine.
Il sequestro riguarda 3 immobili, tra i quali una villa di particolare pregio nell’isola di Favignana, imprese e quote di capitale di 10 società con sede nelle province di Roma, Salerno e Palermo, auto e moto. I sequestri patrimoniali costituiscono il completamento dell’operazione “ALL IN” con la quale gli specialisti antimafia del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo hanno accertato gravi elementi circa l’infiltrazione di “Cosa Nostra” nel lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive. In particolare, si delinea un’organizzazione criminale che, grazie all’abilità imprenditoriale di alcuni indagati e ai benefici derivanti da accordi di reciproco vantaggio costituiti con i principali mandamenti mafiosi palermitani, aveva acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un impero economico costituito da imprese, giunte nel tempo a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro, formalmente intestate a prestanome compiacenti ma, di fatto, facenti capo alle figure centrali della famiglia mafiosa di Palermo Centro, e di un imprenditore che ha messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro di origine illecita e di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse.
Le risultanze dell’attività di indagine hanno consentito di eseguire nel giugno 2020, a conclusione di un primo filone investigativo, un’ordinanza con cui il G.I.P. del Tribunale di Palermo ha disposto misure cautelari personali nei confronti di 10 persone e il sequestro preventivo di 8 “imprese mafiose” che avevano nel tempo acquisito le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive. Nel novembre 2020, a conclusione di un secondo filone investigativo (operazione “ALL IN – SI GIOCA”), sono state disarticolate due distinte associazioni a delinquere, parallele ma entrambe facenti capo ad un imprenditore colluso, che gestivano la raccolta illegale delle scommesse attraverso l’utilizzo delle “piattaforme.com” fuori dalla concessione statale ed erano in grado di generare volumi di giocate di almeno 2,5 milioni di euro al mese. Si è dunque proceduto ad eseguire un’altra ordinanza del GIP di Palermo che ha disposto misure cautelari personali nei confronti di 15 persone a vario titolo indagate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e all’esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse e il sequestro preventivo di sei corner/agenzie scommesse in Sicilia e Campania.
Nel corso della prima operazione “ALL IN” fu arrestato anche un 44enne di Battipaglia grazie al quale l’organizzazione criminale era riuscita ad “infiltrarsi” nell’economia “legale” attraverso il controllo di imprese la cui gestione operativa occulta veniva progressivamente demandata anche a lui.
L’operazione di oggi scaturisce da una sistematica attività di approfondimento economico – finanziario svolta dai finanzieri del G.I.C.O. di Palermo che hanno proceduto a valorizzare in chiave patrimoniale gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, attraverso l’esame, il confronto e l’incrocio di informazioni estratte dalle diverse banche dati della Guardia di Finanza, accertando l’assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità degli indagati, ulteriori rispetto a quelli già sequestrati lo scorso anno, e la loro capacità economica, circostanza che ha portato il Tribunale a ritenere il patrimonio ricostruito quale frutto delle attività illecite o reimpiego dei relativi proventi. Gli accertamenti hanno portato a dimostrare che gli indagati e i rispettivi nuclei familiari, nell’ultimo decennio, non avevano dichiarato redditi leciti o altre forme di finanziamento capaci di giustificare le spese e gli acquisti nel tempo sostenuti.
– Chiara Di Miele –
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