Da poco è passata l’alba. Nevica silenziosamente. Il bianco della neve ed il suo silenzio si accompagnano serenamente all’incontro con le parole di un grande scrittore italiano: Erri De Luca.
Sulla mia scrivania alcuni dei suoi libri per voler capire meglio la sua personalità. Più leggo e più sfoglio, più comprendo che mi trovo a contatto con un essere puro, un uomo senza maschere, stretto ai suoi ricordi ed al suo presente.
E’ anche su facebook, dove nella sua prima pagina si era registrato come Enrico De Luca ed aveva scritto sul suo profilo: mi sono iscritto per poter rispondere a chi mi lascia un commento, per restituire un saluto. Non avevo pensato finora che quando rispondo a qualcuno può succedere che quella persona non creda che sia io a rispondere, cioè Erri, uno che scrive storie.
Enrico De Luca è il suo nome di battesimo, ma “è solo un nome da documenti – ci riferisce- Quando sono nato non si potevano mettere nomi stranieri. Erri proviene da Harry,il nome di mio zio, figlio di mia nonna americana”
Erri De Luca, un essere della natura, appartenente ad essa con le stesse tensioni e vibrazioni; ora forte come una quercia, ora delicato come un mandorlo fiorito in primavera.
Nessuna meraviglia se un giorno lo vedessi volare tra le cicogne verso paesi caldi, per poi ritornare sempre e puntualmente allo stesso nido o arrampicarsi sulla cima di una montagna come un cerbiatto smarrito, per poi fermarsi a guardare il mondo, sentendosi padrone di tutto ciò che in realtà sa di poter perdere in un minuto.
Un uomo che rispetta la Vita e dona se stesso continuamente e naturalmente. Una grande mente. Un grande scrittore.
“La mia scrittura è fisica” ci dice. E noi la accogliamo in tutto il suo esistere, affascinati dal suo pensiero, abbracciati dalle sue parole come un tenero atto d’amore.
- Quanto l’essere nato a Napoli ha contribuito a determinare la sua filosofia di vita e il suo modo di essere?
E’ un timbro di provenienza, un destino alle spalle. Mi ha formato la sua lingua madre e mi ha accordato il sistema nervoso sulla sua tensione.
- Cosa porta in sé della sua infanzia?
I libri della stanzetta in cui dormivo. Alcuni sono ancora con me, ingialliti e stanchi.
Qual è il ricordo più bello di quand’era bambino?
La neve su Napoli l’inverno del ’56, ma pure il contraccolpo della vergogna: in quel freddo morirono in tanti nei bassi, affumicati dall’ossido di carbonio delle carbonelle.
- Nella nostra mente alcuni ricordi sono legati a odori ed a sapori. C’è un odore o un sapore del passato a cui è particolarmente legato e che non ha più ritrovato?
La parmigiana di melanzane che cucinava mia madre e che dalla sua morte ho eliminato dalla tavola.
- Quali sono stati i libri e le letture che le hanno “lasciato un segno”?
Senza far nomi, molta poesia straniera del 1900.
- Come considera il suo bisogno di scrivere? E’ un bisogno di “esserci”? E’ un modo per “legare” se stesso agli altri attraverso il “cordone” delle parole?
E’ il modo migliore di tenermi compagnia. E’ stato così all’inizio e lo è ancora. Anche se oggi mi procura reddito, non rientra per me nella parola lavoro.
- Leggendo i suoi libri, “sentendola” scrivere, ho l’impressione di trovarmi di fronte ad uomo senza tempo, ad una persona che vive fortemente il presente, ma che avrebbe potuto vivere benissimo anche nel 1800 o nel primo Novecento. Mi dà l’idea di un uomo che c’è sempre stato. Scrive per “esserci” anche nel futuro?
Sono uno del 1900, nato nella metà eppure contemporaneo anche della metà precedente. La parola futuro per me oggi riguarda il giorno dopo. I posteri, intesi come lettori, non mi interessano.
- Quanta gioia c’è nelle sue pagine e quanto dolore c’è nel suo inchiostro?
Mentre scrivo i miei sensi e nervi riproducono dentro di me le storie. La mia scrittura è fisica.
- Com’era Erri De Luca alunno delle Scuole Elementari?
Un alunno assorto, capace di isolamento impenetrabile, dunque un cattivo scolaro.
- Quale è stato il suo rapporto con la scuola e con i professori?
Timore sempre, terrore qualche volta, ammirazione una volta sola: di questa ne ho scritto in un racconto “Il pannello” da “In alto a sinistra”.
- Crede nella rincarnazione?
Credo nella polvere, nella cenere, mie ultime consistenze.
- Qual è la “religione” in cui l’uomo può sistemare sia la sua culla che la sua tomba?
Non lo so, non possiedo nessuna intimità con la divinità.
- Cosa pensa dei giovani d’oggi e del loro futuro?
Non sono padre, sono rimasto figlio. Li vedo migliori dei loro padri, ma bisogna vederli alla prova di quando saranno a loro volta genitori.
- Qual è il rapporto che Erri De Luca ha con l’Amore?
L’amore con la maiuscola l’ho trovato nelle scritture sacre. Io ho pronunciato qualche volta nell’intimità il verbo amare.
- L’amore è una continua scoperta o una riscoperta?
L’amore si rinnova ogni giorno se è stato consumato del tutto il giorno precedente, se non è stato risparmiato.
- Ha un sogno ricorrente?
No, ho un sonno segreto che non mi rivela i sogni.
- Lei ha letto con attenzione i libri sacri. Cosa l’ha spinta verso queste letture? Vi ha trovato delle risposte o sono aumentati i suoi dubbi?
Leggo scritture sacre nell’ebraico antico in lingua originale. C’è in loro un’interezza perduta nel corso della storia dalle suddivisioni del monoteismo in religioni opposte tra di loro. Non ci trovo risposte perché non parto da una domanda. Leggo senza intenzioni, come uno che viaggia senza desiderio di giungere.
- Mi può creare una metafora della Vita?
Non ne esistono, per me la vita non ha metafore né succursali.
“Intorno ai quarant’anni è iniziata solo la coincidenza di una prima pubblicazione, – scrive sulle pagine di facebook- ma con la scrittura mi sono tenuto compagnia da ragazzino. E’ stata una buona forma di isolamento dalla città affollata e insonne che avevo intorno. Nella lettura e nella scrittura mi sono rannicchiato e ancora oggi scrivo a carta e penna con il quaderno sulle ginocchia. Spinta iniziale delle mie storie è un colpo di memoria, un ricordo spuntato fuori dal ghiacciaio in cui finiscono gli avvenimenti personali. Scrivo storie accadute, scrivo persone e non invento personaggi“.
“La felicità è carica di agguato” scrive Erri De Luca, può celare inganni e mostrare imprevisti. E questa frase, questo suo pensiero, questo “brandello dell’insieme“, tra le parole scritte che respirano la sua vita, “rende amici lo spedizioniere cieco e il lettore“, ed ora ha reso “amici” lui e me.
“Per me i libri sono lettere a nessuno, non so a chi le ho scritte, a chi le spedisco, so che stanno al fermo posta di una libreria e qualcuno passa di lì, cerca proprio quella casella in mezzo agli scaffali, sceglie nella posta la lettera che è stata scritta per lui, e comincia a leggere“, scrive Erri De Luca, in “Come scrivere”, Guida per aspiranti scrittori, Dalai Editore.
Libri scritti per farsi compagnia, per popolare la propria vita di persone che, pur essendoci, non la invadono, per scattare foto ai momenti degni di essere ricordati, per masticare la vita, per fermare nel tempo le persone che vanno e stringere non la loro mano, ma la loro parola.
Odorarla, assorbirla, unirla al proprio sudore, permetterle di coprire le proprie ferite, consapevole che questo che stiamo vivendo è “il giorno prima della felicità”.
Lo lasciamo a scrivere le sue belle storie, seduto su una sedia di paglia realizzata rigorosamente a mano, con un quaderno aperto poggiato sulle ginocchia, nella campagna a nord di Roma, aspettando che il mandorlo fiorisca nuovamente, che “si gonfino sugli alberi le prime gemme, che somigliano a lacrime,ma invece di cadere si trasformano in fiori e foglie. Sia così per tutte le altre lacrime” .
A malincuore ci allontaniamo. Vuole rimanere solo o forse è in compagnia di qualche misterioso folletto che da bambino si nascondeva sotto al suo letto ed ora impertinente lo accompagna : “ne ho uno sulla spalla, metà pappagallo e metà angelo custode”.
Circondato dai familiari rumori che gli giungono dal passato e dalla sua Napoli, solo ma con tante persone che popolano la sua mente.
In attesa che una voce un po’ stanca ma cara lo chiami: “Errì vieni, è pronta la parmigiana”
– Paola Testaferrata –