“Io li faccio piangere… Come funziona, che devi stare, poi posso adottare tutti i sistemi che voglio… Che sanno soprattutto da dove arriva mia moglie. Lo sanno bene di dov’è. Quindi io basta che faccio un messaggio… Mia moglie è di Rosarno. Io basta che mando un messaggio ‘Potete venire’. Ah, poi me ne vado in galera come Cristo comanda. Lo sanno bene, perciò mi tengono“. E’ una delle centinaia di frasi emblematiche intercettate nelle conversazioni intrattenute dall’ormai ex consigliere regionale della Basilicata, Francesco Piro, che in carcere ieri mattina ci è finito davvero, su disposizione della Procura della Repubblica di Potenza nell’ambito di un’inchiesta che ha condotto ai domiciliari anche la sindaca di Lagonegro Maria Di Lascio. I delitti contestati vanno dall’induzione indebita alla corruzione, dalla tentata concussione ad altri reati contro la Pubblica Amministrazione.
Il Capogruppo di Forza Italia in Regione Basilicata, nella sostanza, si vantava di poter ricorrere alla criminalità organizzata calabrese ostentando a proprio vantaggio la nomea della città di Rosarno, notoriamente considerata cardine di alcune delle maggiori cosche malavitose facenti parte della ‘Ndrangheta. Piro più volte manifestava l’uso della violenza e della capacità intimidatoria paventando anche la concreta possibilità di ricorrere all’occorrenza all’ausilio di associazioni criminali per raggiungere i propri scopi. Da un’intercettazione ambientale emerge il racconto da parte del consigliere regionale di un deplorevole avvenimento quando, insieme al suocero, racconta di aver minacciato un uomo puntandogli una pistola (“è vivo per miracolo … lo abbiamo fatto mettere in ginocchio con la pistola in testa“). In un’altra intercettazione, durante un dialogo con un uomo, Piro racconta con dovizia di particolari uno spaventoso episodio sviluppatosi in un procedimento penale per lesioni personali aggravate (“mi fece incazzare sopra un cantiere un ingegnere del Genio Civile … mi aveva rotto i coglioni su un palazzo aveva fatto storie, dopo una settimana otto giorni era al cimitero che rompeva i coglioni… arrivai lì dissi scusa che stai facendo qua? quello venuto vicino vicino a me col naso …. chi cazzo sei tu… hai presente i Motorola, quello grande lo tenevo in tasca… pigliai il Motorola…boom…si tagliò l’occhio, teneva l’occhiale tutto schizzato di sangue…pigliai una pala …. feci boom boom“).
Le conversazioni captate, per il loro riferimento esplicito all’acquisizione di pacchetti di voti o alla negoziazione delle candidature verso utilità ottenute mediante ingerenza illecita del consigliere regionale Piro con l’ausilio della Di Lascio e con abuso della carica pubblica, non lasciano spazio a dubbi. Il mercimonio delle pubbliche funzioni al fine di consolidare e accrescere il potere emerge spesso in maniera evidente dalle intercettazioni dove, in un caso di specie, lo scambio di utilità (assunzione, promozione, trasferimento) per effetto di ingerenze illecite degli indagati in cambio di candidature con la messa a disposizione del bacino di voti viene espressamente evocato mediante la frase “Prima vedere cammello“, parafrasando un celebre detto magrebino riferito agli scambi commerciali.
Tra i vari elementi emerge dall’ordinanza anche il controllo sulla Direzione Generale dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza che da parte dei politici indagati si estrinsecava in ingerenze volte a favorire indebitamente i soggetti da loro prescelti in violazione delle norme poste a presidio dell’imparzialità, buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa.
Emergono dagli atti di indagine una rete relazionale ed un sistema non limitato ad episodi isolati e relativi ad una situazione relegata alla sola elezione del sindaco di Lagonegro nel 2020 ma un modus operandi strutturale da parte dei politici coinvolti. Il PM Curcio dà conto dell’esistenza di un diffuso e sistematico mercimonio delle pubbliche funzioni ricoperte dagli indagati, un ramificato progetto criminale in grado di orientare a fini personali e politico-elettorali l’azione della Pubblica Amministrazione in sede regionale e di eseguire numerosi delitti. Nel corso delle conversazioni intercettate gli indagati non manifestano mai l’intento di interrompere le attività delittuose ma appaiono quasi sempre proiettati verso il compimento di nuovi crimini con modalità operative tali da fugare qualsiasi dubbio circa la loro responsabilità penale. Hanno continuato a mantenere atteggiamenti inclini al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui i delitti sono maturati.
Ulteriori approfondimenti svolti dal Nucleo Investigativo Carabinieri di Potenza hanno consentito di svelare un allarmante scenario caratterizzato dalla ferma volontà dei principali indagati di condizionare la genuina acquisizione probatoria in corso ipotizzando di creare eventuali incompatibilità ambientali con i magistrati che stavano svolgendo indagini su singoli reati che li vedevano coinvolti. Nel corso di conversazioni captate Piro e Di Lascio progettavano di far intervenire direttamente membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura o di condizionare i testi chiamati a deporre e di effettuare una mirata attività di dossieraggio nei confronti di magistrati titolari dei procedimenti penali nei quali risultavano indagati attraverso la redazione di esposti anonimi e atti delatori indirizzati a redazioni giornalistiche per creare clamori mediatici che avrebbero potuto determinare il trasferimento dei magistrati inquirenti.
Nell’ultima campagna elettorale nazionale la Sindaca di Lagonegro richiedeva, senza riuscirvi, a funzionari di società che gestiscono le reti di telefonia mobile di disattivare i ponti radio da loro gestiti per impedire il traffico telefonico in determinate zone dove abitavano i non sostenitori di Piro (“Quindi mo la cosa che dobbiamo fare subito… Staccà.. Far staccare l’antenna subito, che poi ci devono chiamare a noi … che si devono lamentare e poi gli dobbiamo dire da chi l’avete fatto… chi ve la deve attaccare…” e ancora “Questi qua devono capire che stavolta teniamo il mandato di Lagonegro. Si mettono contro, saranno contro a vita. Noi quanto ci stiamo al Comune, altri tre anni? Le porte non sono chiuse, sbarrate! Poi possono pure morire“).
Ricordiamo che nell’operazione scattata ieri sono state emesse altre due misure cautelari dell’obbligo di dimora nei confronti di Francesco Cupparo, assessore regionale e di Rocco Leone, già assessore della Giunta e ora consigliere regionale, un’ulteriore misura cautelare del divieto di dimora a Potenza nei confronti di Giuseppe Spera, già Direttore amministrativo dell’ASP Basilicata e attualmente Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera “San Carlo”. Tra gli indagati Vito Bardi, Presidente della Regione Basilicata, Francesco Fanelli, assessore alla Salute, Gianni Mastroianni, assessore del Comune di Lagonegro, Donatella Merra, assessore alle Infrastrutture e Mobilità della Regione Basilicata, Antonio Ferrara, Dirigente del Settore Amministrativo della Regione Basilicata e Segretario Generale della Giunta regionale.
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