La Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso presentato da Maria Pia Vertuccio, la donna che a Paterno, il 7 luglio 2018, investì e uccise alla guida della sua auto l’ex marito mentre camminava su un marciapiede. La vittima, Claudio Bitetti, aveva 40 anni e da circa dieci i due erano separati.
Il Tribunale di Potenza, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato la Vertuccio colpevole dell’omicidio del marito per averlo investito con la propria auto da dietro facendolo urtare con la testa sul montante inferiore del parabrezza e poi su quello superiore, facendolo scivolare sul tetto della vettura e sbattere con la testa contro il palo dell’illuminazione pubblica, infine trascinandolo per alcuni metri sul marciapiede, provocandone la morte sul colpo. Il Tribunale aveva escluso l’aggravante della premeditazione e riconosciuto il vizio parziale di mente condannandola a 14 anni di reclusione. La Corte di Assise di Appello di Potenza, previo riconoscimento della prevalenza del vizio parziale di mente rispetto all’aggravante dell’essere stata l’azione diretta contro il coniuge, ha rideterminato la pena 12 anni di reclusione.
Avverso la sentenza di appello la Vertuccio ha proposto ricorso in Cassazione denunciando il vizio di motivazione in relazione alla mancata presa in considerazione della casualità dell’evento. Secondo la difesa della donna il consulente tecnico della Procura, dopo avere esaminato il luogo del reato, constatava l’assenza di segni di sterzata sul marciapiede, a riprova dell’involontarietà dell’investimento di Bitetti. Tale evento sarebbe dovuto, invece, ad una perdita di controllo dell’auto da parte della Vertuccio (l’elevata velocità di circa 70 km/h non consentiva all’imputata, intenta a vedere se vi fosse qualche collega di lavoro da salutare, di affrontare adeguatamente la curva precedente il tratto di strada interessato). La difesa, inoltre, sostiene che le parole espresse nell’immediatezza dall’imputata (“Madonna che cosa ho fatto!“), difformemente da quanto dedotto dai giudici, costituivano riprova dell’involontarietà del gesto.
Per il legale della Vertuccio l’assenza della volontarietà dell’evento letale avrebbe dovuto indurre nel caso in esame ad una condanna ex art. 589-bis del Codice Penale piuttosto che per omicidio volontario.
Per i giudici della Cassazione, al contrario, tutti gli elementi probatori acquisiti depongono per una chiara intenzionalità della condotta posta in essere e per un acceso sentimento di ostilità della Vertuccio verso il marito, su cui incise anche la decisione di quest’ultimo di ritrattare l’originaria promessa di affidare l’appartamento di sua proprietà alla moglie e ai figli e di andarci a vivere con la compagna. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della Vertuccio al pagamento delle spese processuali e delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Luisa Bitetti.
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