Sistematicamente saccheggiato in ogni tornata elettorale, dopo la votazione il Sud rimane sempre dimenticato. Escono subito dall’agenda dei partiti tutte le promesse e tutti gli impegni assunti, ignorate le necessità della gente terrona, tralasciati i talenti, mortificate le bellezze esistenti, sepolta la memoria dei luoghi. Ricomincia così la fuga dei cervelli da questi paesi sempre più poveri di occasioni, sempre più miseri di possibilità. La desertificazione del Meridione non è colpa di chi va via, che è segnato dal bisogno, ma è riconducibile alla plastica rappresentazione di due Italie, quella del Nord e quella del Sud, distanziate dall’opera ottusa della politica. Si chiama divario di interessi, anche di livelli di vita.
Nel trentennio d’oro dell’economia italiana (1950 – 1980) si poteva e doveva intervenire, ma sopravvenne il ventennio berlusconiano-leghista e il Sud rimase sempre più fragile, il Nord sempre più stabile e forte. E oggi ci prepariamo al 25 settembre mentre “La questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale” (rapporto Banca d’Italia). Allora guardiamo chi ci aspetta ai seggi elettorali.
C’è dal 1992 quel “signorotto” delle Tv che seduce e ammalia e alla promessa del solito Ponte sullo Stretto si è aggiunta la dentiera gratis per tutti, poi la conclusione con la solita barzelletta sconcia. Appuntamento alla prossima campagna elettorale: i tre fogli in mano rimangono bianchi. Lui è immortale ed eternamente si trascina dietro la sua vicenda tragicomica.
“Capitan” Matteo ne segue l’esempio, per l’occasione lascia il Papeete di Milano Marittima e scende verso il Sud e la Sicilia, ove trova persone pronte per un selfie e lui le ripaga con il più contagioso dei sorrisi e il solito giuramento: via i migranti, rimpatri forzosi, porti bloccati alle navi delle “Ong”. Con l’aggiunta questa volta della flat tax e gli scostamenti di bilancio: la prima è quanto pagheremo alla Stato, ricchi e poveri, tutti ugualmente; i secondi sono i debiti che lasceremo alle generazioni che verranno.
La prima futura “donna Premier” della storia italiana, Giorgia, rimane un po’ in lontananza, preferisce accarezzare i suoi feudi abitati dai fratelli di lobby, possibilmente facendo dimenticare la fiammella tricolore che rimane implacabile nel simbolo del partito, a richiamare le origini fasciste. Ai terroni preferisce il suo popolo, blindato da una fedeltà ideologica rimasta ferrea da quel 18 dicembre 1932, quando Mussolini annunciò la nascita di Littoria. L’impegno di questi giorni è mettere la polvere della destra che guarda al Duce sotto il tappeto. E dopo il voto?
E’ così, dunque, che la giovane classe dirigente del Mezzogiorno va via e forse non tornerà mai più.
– Franco Iorio –