Grande successo di pubblico nei giorni scorsi per la miniserie “Mike”, diretta dal regista di Sala Consilina Giuseppe Bonito e trasmessa da Rai 1 il 21 e 22 ottobre. L’opera narra la vita di Mike Bongiorno, interpretato da Claudio Gioè da adulto e da Elia Nuzzolo da ragazzo. Il soggetto è il libro biografico “La versione di Mike”, scritto da Bongiorno in collaborazione con il figlio Nicolò nel 2007.
Il trasferimento dagli States a Torino, i primi passi nel mondo del giornalismo sulle pagine de “La Stampa”, l’aiuto dato ai partigiani durante la seconda guerra mondiale per le comunicazioni scritte con gli Alleati grazie alla conoscenza dell’inglese, la cattura insieme alla madre nel 1944 e poi i brillanti successi in televisione.
Mike quest’anno avrebbe compiuto un secolo di vita e non poteva esserci miglior modo per ricordarne il talento se non attraverso il lavoro del valdianese Bonito, noto anche per aver diretto “Figli” e “L’arminuta”.
Lo abbiamo intervistato dopo la messa in onda della miniserie su Mike Bongiorno, per cogliere riflessioni, emozioni e dettagli su un lavoro che il pubblico della Rai ha ampiamente apprezzato.
- Dopo “Brennero” arriva il successo riscosso da “Mike”. È l’anno di Giuseppe Bonito?
In realtà quello che allo spettatore arriva a distanza di poche settimane è il frutto di tre anni di lavoro. Oltre a “Brennero” e a “Mike”, entrambe appena uscite su Rai 1, si aggiungerà nella prima metà del 2025 una ulteriore serie a cui tengo molto, che si intitola “Gerri”, che andrà in onda sempre su Rai 1.
- Hai raccontato il Mike pubblico ma anche quello privato. Com’è stato lavorare su un personaggio mitico come Bongiorno?
Ho dovuto resettare tutti i miei ricordi di spettatore e compiere un viaggio di conoscenza il più vuoto possibile in partenza. Ne è scaturito un viaggio di conoscenza sorprendente di un uomo apparentemente semplice ma con un vissuto incredibile e anche con un talento e una tecnica professionale complessissimi. Ed ho capito i motivi del suo enorme successo.
- Qual è l’aneddoto su di lui che ti ha colpito maggiormente?
Di lui più di tutto mi ha colpito la necessità radicale di separare la vita privata da quella professionale. Lo trovo sorprendente in un’epoca come la nostra dove spesso chi fa televisione tende a fare esattamente l’opposto. Tantissime persone in questi giorni mi hanno scritto per dirmi che grazie alla serie hanno scoperto cose nuove e approfondito aspetti di Mike Bongiorno che non conoscevano.
- Parte della serie è stata girata nel Cilento, vicino ai tuoi luoghi di origine. È stata una scelta dettata dal cuore o da altre esigenze?
È stata una felice coincidenza di cose. Dovevamo raccontare un viaggio che Mike fece nell’Italia del Sud agli inizi degli anni Cinquanta. Era il nostro ultimo blocco di riprese, venivamo da Torino e dalla Bulgaria e non potevamo permetterci produttivamente di andare a girare in vari posti del Sud. Abbiamo scelto il Cilento perché si prestava bene e ci consentiva di accorpare tutte le nostre esigenze scenografiche in un’area di meno di 30 chilometri. E io, ovviamente, sono stato molto felice di potere finalmente girare qualcosa così vicino al mio paese di origine che è Sala Consilina.
- Hai sentito la famiglia Bongiorno in queste ore di record di spettatori?
Ho avuto un contatto costante durante tutte le fasi della lavorazione soprattutto con Daniela Bongiorno, la moglie di Mike. Lei è stata una porta di accesso per me importantissima. Sono stato supportato anche dalla Fondazione Bongiorno e, soprattutto nelle fasi iniziali, per me è stato molto importante anche Nicoló Bongiorno, uno dei tre figli.