D. – Il decreto Gelmini del 2009 aveva previsto la soppressione dell’insegnamento della Storia dell’Arte in alcune classi delle scuole medie superiori o comunque la riduzione del numero delle ore settimanali. Attualmente con il ministro Carrozza, pare, che nulla sia cambiato. Come avverte questa situazione?
R. – “La situazione dell’insegnamento di Storia dell’Arte e di Storia locale, al Meridione più che altrove, va rivisto in un’ottica di inserimento all’interno delle discipline classiche della didattica, a partire dalla Storia stessa. Direi che più che guardare alle imposizioni legislative o ministeriali, bisognerebbe ritagliare uno spazio nelle ore di lezione o in quelle dei progetti di offerta formativa, da dedicare alla “nostra storia”, spesso bistrattata o obliata dagli stessi insegnanti. Proviamo a renderci conto, per esempio, come buona parte degli accadimenti storici della nostra Penisola del Cinquecento (vedasi la calata di Carlo VIII o l’arrivo degli Spagnoli), si siano generati ad opera della famiglia Sanseverino, radicata nelle nostre terre e di cui recenti studi ne stanno convalidando l’ampia risonanza nelle vicende politiche italiane rinascimentali. E’ una questione di metodo qualitativo, più che di quantità, di cui dobbiamo parlare, se vogliamo intendere la buona riuscita della trasmissione di dati culturali ai nostri giovani, in ambito scolastico”
- D. – Una non adeguata conoscenza del patrimonio storico-artistico può ostacolare la formazione culturale dei giovani d’oggi?
R. – “Indubbiamente la conoscenza della propria storia e del patrimonio artistico e monumentale che ci circonda, può dare una marcia in più, ma credo che lo studio di queste componenti culturali serva a formare maggiormente la nostra identità, per credere di più in noi stessi e nelle capacità del nostro territorio. La decadenza del Vallo di Diano e dei territori contermini, negli ultimi anni, è da imputare soprattutto alla scarsa conoscenza che abbiamo delle peculiarità storiche, geografiche ed economiche del comprensorio stesso; non vedo perché se la nostra vallata, per secoli, è stata luogo di attraversamento obbligato del Meridione, oggi debba soccombere a logiche di preferenza di altri ambiti territoriali, più poveri e con meno risorse da offrire, sia in termini culturali che economici”
- D. – Un Paese che vanta aree archeologiche prestigiose tra cui Pompei, musei di rilievo e 44 siti italiani patrimonio mondiale Unesco. L’arte e la storia, secondo lei, potrebbero essere una fonte di guadagno per molti?
R. – “Penso che la valorizzazione culturale contemporanea passi soprattutto per i cosiddetti “siti minori”, spesso alternativi ai grandi giacimenti culturali e che ci riguardano più da vicino. Su quest’aspetto bisogna lavorare maggiormente, per sperare in giorni migliori per le nostre contrade. Solo per fare un esempio, sull’economia che “gira” intorno ad un sito museale, quale il Museo Diocesano di Teggiano, che ben conosco, posso dire che l’inserimento del biglietto d’ingresso nell’anno 2007 (in concomitanza con la riapertura della collezione museale), ha “stranamente” aumentato i visitatori, gli studiosi e gli appassionati, rispetto a quando l’accesso era libero. Sarà un controsenso, ma la distinzione tra musei liberi ed a pagamento genera anche una distinzione qualitativa, da parte di chi “osserva” da lontano, ossia proviene da fuori; è lo stesso caso del valore estrinseco che si dà ad un libro acquistato o a quello avuto gratuitamente. Ovviamente la qualità del Museo deve essere un segno distintivo da non tralasciare, ma anzi ampliare e settorializzare, grazie agli investimenti interni (biglietto, gadget, libri) ed a quelli esterni (sponsor, finanziamenti)”
- D. – Ed ora veniamo al rapporto Vallo di Diano-arte. Lei ricopre il ruolo di direttore scientifico del Museo Diocesano San Pietro a Teggiano ed è autore di numerose pubblicazioni di carattere storico-artistico. Come vengono percepite le numerose presenze artistiche da coloro che abitano il Vallo di Diano?
R. – “Spesso sono ignorate dagli stessi abitanti del luogo. E’ brutto dirlo, ma un bene culturale vicino viene spesso tralasciato e non considerato. Quanti di noi hanno visitato la certosa di San Lorenzo diverse volte ed ora evitano di rivisitarla, perché già nota! ma quanti ne conoscono veramente la storia, i segreti e i suoi giacimenti culturali? E’ ovvio che spesso si cerca altrove il Bello, la Cultura, le inedite vedute, la Storia, l’Arte, non accorgendosi di quanti, in visita ai nostri paesi, ne rimangono affascinati e sorpresi, esaltando la nostra Storia ed i nostri Beni Culturali. Osservo ultimamente, con piacere, che grazie agli strumenti mediatici, si sta sviluppando un nuovo senso di riscoperta delle nostre tradizioni: i percorsi digitali sono uno di questi splendidi esempi, con una lettura attenta fotografica di particolari antropici e naturali dei nostri borghi, che ne permette una “visione” diversa, inedita e più affascinante. Se la voglia ed il senso civico di riappropriarsi delle proprie tradizioni e della cultura continuerà in ascesa a diffondersi tra le nuove generazioni, allora il passo per un migliorato benessere economico sarà meno lungo: conoscendosi meglio, si può maggiormente offrire agli altri un bagaglio storico lungo migliaia di anni”.
– Francesco Magnanti – ondanews –