Sarà la Corte d’assise d’appello di Potenza a rifare il processo Ilva, che in primo grado si era concluso nel 2021 con una sentenza di condanna per 270 anni complessivi di carcere a carico dei 37 imputati, tra cui proprietari, dirigenti e manager dell’impianto di Taranto, e alcuni politici come l’ex Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.
Si ripartirà dunque dall’udienza preliminare dato che la Sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise di Lecce ha accolto la questione sollevata dalle difese. Motivazione alla base dell’accoglimento è che nel procedimento si erano costituiti parte civile tre giudici del distretto. Dunque la competenza territoriale spetta a Potenza e non ad una Corte del territorio interessato dalla causa.
La questione della competenza territoriale è stata eccepita riferendosi all’articolo 11 del Codice di Procedura Penale. Tra le parti civili erano stati ammessi due giudici di pace e un giudice del Tribunale civile, tra cui uno che risiedeva in una delle zone più colpite dal disastro ambientale. E’ stata perciò annullata la sentenza che nel 2021 aveva condannato gli imputati.
Al centro del processo i presunti danni all’ambiente causati dall’Ilva durante la gestione della famiglia Riva tra il 1995 e il 2012. Un’inchiesta del 2012 aveva portato al sequestro degli impianti dell’area a caldo. Agli imputati sono contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altri capi d’accusa.
A ricevere le condanne più pesanti in primo grado erano stati gli ex amministratori Fabio e Nicola Riva (22 e 20 anni di reclusione), mentre Vendola, al quale era contestata la concussione aggravata in concorso, era stato condannato a 3 anni e mezzo di reclusione.
Dunque ora il processo ripartirà da Potenza anche se per alcuni reati si rischia la prescrizione dei termini. Sono complessivamente 1500 le parti civili ammesse.