Un diario scritto durante la Seconda Guerra Mondiale da Alessandro Smulevich, 20enne ebreo nato a Fiume e residente in Toscana, per ricostruire l‘odissea della sua famiglia, che inizia nel 1940 con l’internamento del padre, Sigismondo, nel campo di Campagna, uno dei principali luoghi di confino allestiti dal Governo italiano per i profughi ebrei presenti in Italia. Grazie all’interessamento del Commissario Giovanni Palatucci, Sigismondo fu trasferito a Prato, riunendosi alla famiglia attraverso l’internamento libero con obbligo di firma, ma l’8 settembre, tra l’illusione che la guerra fosse finita, ebbero inizio le atrocità dell’occupazione nazista e delle deportazioni.
Due famiglie toscane, i Matti e gli Angeli, ospitarono gli Smulevich salvandogli la vita e per quel motivo furono insigniti del titolo di “Giusti tra le Nazioni”. Il diario di Alessandro è venuto fuori dopo anni, nel 2017, da un armadio. Suo nipote Adam, giornalista e scrittore, si reca a Firenzuola per scoprire la storia familiare e lì trova una lettera indirizzata al Comune dalla zia, sorella di Alessandro, in cui ringraziava la famiglia Matti. Da quel diario prende vita “Matti e Angeli – Una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica. Diario 1943-1944”, curato anche da Ermanno Smulevich, figlio di Alessandro e nipote di Sigismondo, che ha donato a Ondanews una sentita testimonianza sulla storia della sua famiglia.
- Dottor Smulevich, tutto ha inizio con il ritrovamento del diario di Alessandro, suo padre.
Nel 2017 mio figlio, giornalista, dopo aver sentito parlare delle famiglie Matti e Angeli, si reca a Firenzuola in cerca di un contatto e scopre che mia zia, sorella di mio padre, anni addietro aveva scritto una lettera per ringraziarli. Così ci mettiamo in cerca tra gli effetti personali di mio padre, chiusi in un armadio, e troviamo, nascosti sotto alcuni libri, circa 20 quadernetti in cui aveva scritto di quel periodo storico, del padre fatto prigioniero dai nazisti e anche dei viaggi a Campagna, dove si trovava il campo di internamento a cui mio nonno era stato destinato. Non aveva scritto quelle pagine pensando che un giorno qualcuno le avrebbe lette o addirittura pubblicate, ma lo aveva fatto esclusivamente per se stesso, per appuntare quella fase della loro storia familiare.
- In quelle pagine si fa cenno al periodo trascorso da suo nonno a Campagna. Ci sono anche menzioni ai Palatucci?
Di Campagna nel diario scritto da mio padre c’è un particolare che mi ha fatto sorridere. Narra di una visita alla famiglia del sarto Mirra e scrive anche della figlia 16enne e del fatto che mio padre, probabilmente incuriosito da questa giovane, avesse tentato di andare da solo con lei nel giardino di casa, ma senza riuscirvi, vista la presenza dei genitori (“Chiesi ai genitori se si poteva vedere il loro giardino, intendendo con ciò la loro figlia. I loro genitori però, che erano furbi, risposero evasivamente che il giardino era distante, che non era nulla d’interessante da vedere”). Poi ci sono cenni a Monsignor Giuseppe Maria Palatucci e, in maniera indiretta, a suo nipote, il Questore Giovanni Palatucci. Mia nonna, infatti, essendo di origini ungheresi non sarebbe stata capace di scrivere una lettera abbastanza corretta da inviare al Ministero per chiedere il trasferimento del marito da Campagna alla Toscana. Così il Questore la scrisse per lei, raccomandando mio nonno. Palatucci, pur di fornire il suo aiuto, nella missiva sosteneva che mio nonno avesse dei problemi di salute e, cosa che da medico chirurgo mi ha fatto sorridere, scriveva che l’ambiente di montagna di Campagna non facesse bene alle sue emorroidi. Mio padre nel diario racconta del giorno in cui nonno Sigismondo si recò dal medico provinciale di Salerno per la visita di controllo e del suo sorriso all’uscita dallo studio perchè tutto era andato per il meglio e dunque poteva essere trasferito a Prato.
- Poi il trasferimento in Toscana e il ruolo, fondamentale, dei Matti e degli Angeli.
Mio nonno, che era una persona molto intelligente, prima dell’armistizio dell’8 settembre aveva già intuito che per gli ebrei i tempi sarebbero diventati duri. Così aveva mandato, con qualche settimana di anticipo, mia nonna a Firenzuola per cercare un’abitazione in fitto. I Matti e gli Angeli li ospitarono e non chiesero nulla in cambio. Eppure in quell’epoca tanti ebrei poverissimi non riuscirono a salvarsi e a rifugiarsi in posti sicuri proprio perchè, non avendo denaro, non potevano ricambiare l’ospitalità. Non fu il caso della mia famiglia, aiutata da chi, in maniera disinteressata, affrontò diversi pericoli scaturiti anche dalla vicinanza con la Linea Gotica. Ci sono tre tappe fondamentali dell’antisemitismo in Italia: le leggi razziali, l’armistizio e la calata dei tedeschi e poi una data che quasi nessuno conosce, il 30 novembre del 1943. Quel giorno fu emanato un ordine attraverso cui le autorità di polizia e le milizie della Repubblica Sociale Italiana furono mobilitate per l’arresto di tutti gli ebrei e per il loro internamento e la confisca dei loro beni. Perchè, secondo lei, da 2000 anni gli ebrei sono stati perseguitati, maltrattati, uccisi? La motivazione è molto pragmatica: perchè sapevano leggere e scrivere, per il sapere. Perchè un uomo colto diventa un problema. Sa quanti ebrei ci sono oggi in Italia? Circa 30mila, pochissimi, eppure tutti pensano ad un numero più elevato. Sa, rispetto ad altre nazioni europee come la Polonia (qui fu altissima la percentuale di ebrei uccisi), qual è la percentuale degli ebrei che furono ammazzati in Italia? Il 18%. Perchè qui, nonostante la presenza di fascisti, delatori o farabutti, la maggior parte delle persone era di buon cuore. Proprio come accadde per mio nonno a Campagna, dove ebbe modo di conoscere della brava gente, e come nel caso dei Matti e degli Angeli, insigniti del titolo di “Giusti tra le Nazioni”.
- A distanza di decenni e dopo aver trovato gli scritti di suo padre e toccato con mano la storia della sua famiglia, lei vive questo “peso storico” e l’Olocausto con rancore?
Non vivo quello che è accaduto come se fosse un “peso storico”. Quando ho trovato il diario scritto da mio padre lui era già morto da 15 anni. Nei suoi scritti ho visto un ragazzino intimorito, mi veniva la voglia di proteggerlo. Eppure io lo avevo conosciuto da adulto, da padre che ci aveva educato, anche con severità. In quelle pagine, che ho rischiato di rovinare con le lacrime che versavo durante la lettura, ho ritrovato un giovane preoccupato per quanto stava accadendo e ho sentito il desiderio di proteggerlo come se io fossi suo padre.
- Lei porta nelle scuole, tra i giovani, e in giro per l’Italia il racconto di suo nonno, di suo padre e della sua famiglia. Cosa la spinge a farlo?
E’ fondamentale avere memoria di ciò che è accaduto per guardare al futuro. Memoria e cultura formano una coscienza individuale, soprattutto nei più giovani che devono conoscere la storia per far sì che alcune atrocità non si ripetano. L’uomo è un animale tribale e ad un certo punto, così come fanno le scimmie quando il gruppo supera un certo numero di componenti, anche l’uomo cerca il nemico, il capro espiatorio da eliminare. Così è stato per l’antisemitismo, ma anche per gli immigrati e per tutti quelli che possiamo semplicemente definire “gli altri”. E’ necessario, dunque, conoscere la storia per evitare il ripetersi di queste situazioni.