Oggi si celebra la Giornata Internazionale dei diritti della donna per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono tuttora oggetto in varie parti del mondo.
Per comprendere il senso dell’emancipazione femminile e della lotta che si è affrontata per conquistarla, abbiamo intervistato Pegah Moshir Pour, attivista per i diritti umani e attivista digitale. Nata a Teheran, a 9 anni si è trasferita con i genitori e suo fratello in Basilicata.
“In Iran non avevo ancora una consapevolezza di cosa volesse dire essere donna, portare il velo e cantare l’inno tutte le mattine, oppure ripetere ‘a morte gli Stati Uniti, a morte Israele’. Non capivo, lo facevano tutti e lo facevo anche io. I miei genitori sapevano che questo avrebbe influenzato la mia crescita e il mio senso critico: non vedendo futuro in Iran hanno deciso di trasferirsi in Italia, sfruttando un’opportunità lavorativa di mio padre. Hanno scelto di dare le stesse opportunità a me e mio fratello, sapendo che da femmina in Iran sarei stata limitata”.
Pegah è impegnata nella diffusione delle ingiustizie e dei soprusi che si compiono in Iran, soprattutto a scapito delle donne. Dopo aver portato un monologo sul valore della “libertà” al Festival di Sanremo, Pegah è stata scelta dal Governo italiano come testimonial della campagna #ilcoraggioèdonna.
- Cosa vuol dire essere una donna in Iran?
Vuol dire negare la tua femminilità sin da quando sei bambina. Per spiegarlo ti racconto di un programma agghiacciante andato in onda qualche giorno fa sulla tv nazionale iraniana. Di fronte ai conduttori, due comici con il turbante in testa da prete, c’è una platea di bambine tutte vestite di bianco con il velo in testa. A loro viene detto che ormai sono delle signorine, ovvero sono entrate nell’età dello sviluppo, quindi, potrebbero già pensare a costituire una famiglia…loro sorridono ignare del significato di queste affermazioni. Il messaggio che si vuole mandare alla popolazione è che le donne sono esseri procreatrici e basta.
- Cos’è la Polizia Morale? Quanto influisce la religione islamica sulla libertà di espressione femminile?
Sicuramente la religione ha la sua influenza, ma viene male interpretata. Per quanto riguarda il velo, ad esempio, il Corano lascia libera scelta alla donna se indossarlo o meno, invece è ormai un obbligo. L’esistenza della Polizia Morale è stata formalmente dichiarata nel 2005 e nasce con l’obiettivo di impartire comportamenti e abbigliamenti da adottare e indossare nei luoghi pubblici. Quindi le ragazze non possono vestire pantaloncini e canotte, né portare capelli all’aria. Ai ragazzi è proibito mettere pantaloni sopra le caviglie. Nel caso di trasgressione c’è la repressione, come è successo a Masha Amini, con l’aggravante che lei era curda. Il Regime perseguita le minoranze.
- Da quando è morta Masha Amiri, il 16 settembre scorso, il tuo impegno a difesa dei diritti umani si è intensificato, perché “non c’è libertà senza verità”. Qual è la verità professata dal Regime della Repubblica Islamica?
Il Regime diffonde la teoria che a fare la rivoluzione non siano le donne e gli uomini del posto, ma persone esterne mandate dagli Stati Uniti o dall’Israele, quando invece è il popolo stesso che dice basta! Da un po’ di tempo a questa parte sono prese di mira le scuole femminili di ogni ordine e grado, dove viene lanciato gas tossico. Finora sono 52 le scuole femminili attaccate in 16 province. Ad agire sono i fondamentalisti che, tra l’altro, hanno cospicue possibilità economiche perché sono proprio loro a combinare gli elementi per realizzare questi gas nocivi. Si tratta di organizzazioni ben fornite. L’ambiente scolastico femminile è preso di mira per intimidire ed intimorire le ragazze affinché non protestino appoggiando lo slogan ‘donna, vita e libertà’.
- Quanto conta l’opinione pubblica mondiale nel sostegno alla rivoluzione che è in atto in Iran?
Tantissimo. Per fare un esempio concreto: 4 ragazzi sono stati giustiziati con l’accusa di crimine sulla terra e guerra verso Dio. A loro ne sarebbero seguiti altri 11, ma quando c’è stato questo annuncio si è mosso il mondo. In centinaia sono andati davanti alle prigioni a manifestare, giovani e adulti respinti con pallottole di gomma; noi iraniani fuori dal Paese, attraverso i social, abbiamo attenzionato la questione. Persino Angelina Jolie ha riportato sul suo profilo il video di quel momento, così la mattina seguente a quegli 11 ragazzi è stata evitata la pena di morte. Il tam tam sui social funziona almeno a ritardare una morte certa.
- Ti sei esposta molto: dopo l’intervento al Festival di Sanremo il tuo discorso ha fatto il giro del mondo, proiettato a Los Angeles, diffuso con i sottotitoli in persiano. Hai paura?
Dopo che il Presidente della Repubblica mi ha rivolto quelle parole alla cerimonia dei 40 anni dell’Unibas penso di essere nel posto giusto. Mi sento protetta. Certamente sono preoccupata per possibili ripercussioni che altri attivisti hanno subito, ma voglio pensare bene. E’ stato molto bello ricevere la proposta di diventare testimonial de #ilcoraggioèdonna, la campagna del Ministero per dar voce alle donne iraniane ed afghane.
- Vivi in Italia e sei una donna libera. Cosa ti senti di dire alle donne che, forse a causa di una condizione di ignoranza, si sentono dipendenti dagli uomini?
Nel 2014, all’interno dell’università, abbiamo dato vita ad un collettivo che trattava i temi della violenza di genere, della violenza economica, della pressione psicologica. In quel momento ho capito l’importanza del digitale – ecco perché sono anche attivista digitale – Vedevo come il retaggio culturale influenzasse il modo di essere: alle bimbe si regalano le bambole, ai bimbi le armi. Ciò vuol dire inculcare la teoria che la donna si occupa della famiglia e l’uomo del controllo, dell’attacco. Non si tratta di una educazione scelta volontariamente dai genitori che la impartiscono, ma è un modello che ci portiamo avanti dalla preistoria. Così facendo si rendono le ragazze ancora più fragili, crescono pensando di non essere complete. Bisogna incoraggiare le ragazze ad uscire da sole, ad affrontare le persone da sole, a non aspettare che qualcuno le protegga. Questo condizionamento ricade poi anche sulla scelta del proprio compagno…Dobbiamo dire alle ragazze che sono autosufficienti, che sono un di più, e che devono essere indipendenti economicamente.