Nella Giornata mondiale dell’acqua arriva il report redatto da Istat che va a tracciare l’utilizzo della risorsa in tutte le regioni di Italia. Non manca il gap, anche in questo settore, tra Nord e Sud, sebbene ci siano delle eccezioni. Il report analizza sia l’estrazione dell’acqua, sia la desalinizzazione, sia l’approvvigionamento per scopi abitativi e civici. Un’analisi dettagliata riguarda la distribuzione dell’acqua prelevata su scala nazionale e le condizioni delle tubature.
Ad esempio, nell’analisi dei dati si calcola il maggior volume di acqua prelevato per uso potabile. Il maggiore prelievo avviene nel distretto idrografico del Fiume Po, ma risultano consistenti anche i quantitativi nel Lazio (1,15 miliardi di metri cubi; il 12,5%) e in Campania (0,90 miliardi; il 9,8%).
I volumi regionali pro capite, strettamente legati alla disponibilità della risorsa, hanno un range molto ampio: dai 115 litri per abitante al giorno della Puglia ai 2.133 del Molise. Gli scambi idrici interregionali, soprattutto nel Sud Italia, garantiscono l’approvvigionamento dei territori in cui le risorse interne non sono sufficienti a soddisfare la richiesta idropotabile. Una parte dei prelievi di Basilicata e Molise, al netto delle dispersioni in adduzione, confluisce nelle regioni confinanti.
Il report traccia una linea dell’utilizzo idropotabile di acque superficiali che risulta prevalente nel distretto della Sardegna, soprattutto per i prelievi da bacino artificiale che incidono sul 77,8% del volume complessivo. In percentuale molto più bassa, ma più consistente in volume, è lo sfruttamento di bacini artificiali nei distretti Appennino meridionale (15,9%), in particolare in Basilicata (80,8% del volume regionale) e Sicilia (15,2%). Il prelievo maggiore avviene durante l’estate, nel trimestre luglio-settembre: 2,4 miliardi di metri cubi (26,4% del totale annuo).
Per garantire la qualità dell’acqua fino al rubinetto il 27,9% dei volumi prelevati nel 2020 è sottoposto alla potabilizzazione per la rimozione delle sostanze contaminanti (come nel caso della filtrazione) e il restante 72,1% alla disinfezione o non subisce alcun trattamento. I casi di totale assenza di trattamento sono sporadici, generalmente associati a sorgenti di alta quota o a pozzi utilizzati a pieno regime, dove la qualità dell’acqua è buona ed è immessa direttamente in distribuzione, senza serbatoi di accumulo. Data la migliore qualità delle acque sorgentizie, dei 3,29 miliardi di metri cubi prelevati a scopo idropotabile appena il 3,0% è sottoposto a potabilizzazione. Lo sfruttamento delle sorgenti prevale nei distretti idrografici Appennino centrale (71% circa del volume) e Appennino meridionale (45,6%).
Le regioni con la maggior quota di acqua sottoposta a trattamenti di potabilizzazione sono Basilicata (80,9%) e Sardegna (79,0%), a causa dei consistenti prelievi da corsi d’acqua e bacini artificiali, ma le quote sono consistenti anche in Puglia (55,1%), Toscana (55,0%) ed Emilia-Romagna (50,0%).
Sebbene le perdite abbiano un andamento molto variabile, le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono la consolidata geografia di un gradiente Nord-Sud, con le situazioni più critiche concentrate nelle aree del Centro e Mezzogiorno, ricadenti nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare. I valori più alti si rilevano, nel 2020, nei distretti Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%), seguiti dai distretti Appennino meridionale (48,7%) e Appennino centrale (47,3%). In 9 regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al 45%, con i valori più alti in Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%). In 14 regioni e province autonome su 21 e in cinque distretti idrografici su sette aumentano le perdite idriche totali in distribuzione, con gli incrementi maggiori in Basilicata, Molise e Abruzzo.
L’adozione di misure restrittive nell’erogazione idrica è legata alla obsolescenza dell’infrastruttura, soprattutto nel Mezzogiorno, a problemi di qualità dell’acqua per il consumo umano e ai sempre più frequenti episodi di riduzione della portata delle fonti di approvvigionamento a causa del cambiamento climatico, che rendono insufficiente la disponibilità della risorsa idrica in alcune aree del territorio. Occorre considerare che le variazioni rilevate possono dipendere anche da variazioni nelle modalità di calcolo dei volumi consumati ma non misurati al contatore, dalla crescente diffusione di strumenti di misura, che sono più efficaci nell’evidenziare le situazioni critiche, da situazioni contingenti e cambiamenti gestionali che possono modificare il sistema di contabilizzazione dei volumi.
Il servizio pubblico di depurazione delle acque reflue urbane è assente in 296 comuni (3,7%), dato in calo rispetto al 2018 (-13%), dove risiedono 1,3 milioni di abitanti. Il 67,9% di questi comuni (201) è localizzato nel Mezzogiorno (soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, coinvolgendo rispettivamente il 13,1%, 5,3% e 4,4% della popolazione). In questi comuni in diversi casi sono presenti gli impianti, ma risultano inattivi poiché sotto sequestro, in corso di ammodernamento o in costruzione. Sono comuni con ampiezza demografica medio-piccola, nel 74,3% dei casi localizzati in zone rurali o scarsamente popolate. 67 comuni si trovano in zone costiere, per lo più in Sicilia (35), Calabria (15) e Campania (7), dove risiedono circa 500mila abitanti.
La preoccupazione per i cambiamenti climatici aumenta e torna ai livelli del 2019. Gli effetti dei cambiamenti climatici o dell’effetto serra rientrano tra i cinque problemi ambientali che preoccupano di più le persone con almeno 14 anni, con valori compresi tra il 68,6% del Mezzogiorno e il 72% circa del Centro-Nord. Nel 2022 la quota di famiglie che lamentano irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle loro abitazioni è pari al 9,7% (era il 9,4% nel 2021), dato pressoché stabile nell’ultimo triennio. Il disservizio investe, pur in percentuali molto diverse, tutte le regioni e interessa quasi 2,5 milioni. Tra queste circa il 70% è residente nel Mezzogiorno (1,7 milioni di famiglie), con Calabria e Sicilia tra le più esposte ai problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni.