“Il primo maggio è come parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento“. Iniziava così, nel 1890, un articolo sul 1° Maggio pubblicato dalla rivista anarchica “La Rivendicazione“, che partecipò alla campagna per celebrare la Festa dei lavoratori.
Ricordare le lotte, il sacrificio, le battaglie operaie e l’impegno sindacale festeggiando un traguardo, una conquista e, cosa ben più imprescindibile, un diritto. Non è quindi un caso se i padri costituenti, riuniti per dar vita alla legge fondamentale dello Stato, sancirono già dal primo articolo la cardinale importanza del lavoro e il suo essere e dover costituire salda base di una nazione civile e garantista.
Ad oltre 100 anni dall’istituzione della festa, però, urge riflettere. Negli anni prendono piede la disoccupazione, le crisi, la precarietà e il diritto pare trasformarsi in chimera, calpestato da epoche e da politiche che poco se ne curano, sottoponendolo a “cambi di look” spesso deleteri. Flessibile, precario, interinale, accessorio, intermittente, occasionale. Dalla fine degli anni ’90 a tutt’oggi sono questi gli aggettivi che contraddistinguono i contratti di lavoro, nella fortunata ipotesi in cui si ha la possibilità di firmarli. Nero, sommerso, irregolare, quando è il sopruso a prendere il sopravvento, scalzando il diritto, e la firma, più che su un contratto, è apposta su un futuro che non è ben chiaro.
Strumentalizzare il 1° Maggio per generare polemiche è sicuramente un modo poco elegante per celebrarlo. Ma ancor meno elegante, meno accettabile e, soprattutto, meno costituzionale è un tasso di disoccupazione giovanile al 43,1% (dati Istat di marzo) con 138mila disoccupati in più rispetto allo scorso anno. Meno elegante è l’impotenza delle istituzioni, la debolezza delle risposte, che troppo spesso è assenza.
Così, riguardando “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo e sperando in un nuovo “cammino dei lavoratori“, l’augurio (dato il giorno di festa) è che questo 1° Maggio sia da sprone per la ricerca di una dignitosa soluzione al problema, sia motivo di risveglio dal torpore istituzionale e che il lavoro, oggetto di elemosina, non venga oltremodo violentanto e sporcato per riempire triti e ritriti slogan elettorali.
– Chiara Di Miele –