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1 thought on ““Dobbiamo salvaguardare il nostro ambiente”. Il Comune di Pertosa dice “no” alle Fonderie Pisano

  1. In un mio recente commento sull’argomento fonderie Pisano nel Vallo di Diano, mi riferivo alla politica locale come un assembramento umano privo di qualsiasi lungimiranza, ma dopo questo effluvio protezionista, credo di aver trovato l’approdo della più bieca ottusità della stessa. Mi spiego meglio. Forse la vocazione di un’agricoltura sana e fatta da braccia nerborute era appannaggio dei primi coloni abitanti del “pertusus”, i quali oltre alla genuinità della loro terra contavano anche su altri mezzi di sussistenza, ampiamente documentati dalle ultime ricerche archeologiche effettuate in questi anni. Ma gli allogeni in questa fase di miseria e di decadenza economica culturale, non possono dirsi eredi di quella ben conservata natura, bensì sono solo testimoni di quanta degradazione serpeggi tra le nostre bio certezze. Non mi si neghi che questa terra è stata la pattumiera all’interno della quale è stato stivato di tutto; non si possono ignorare le cruenti percentuali legate alla pullulazione di particolari patologie provocate da agenti inquinanti; e poi, lo stato dei nostri fiumi: rimuoveteli i paraocchi !!! E questo è solo la parte superficiale dell’argomento inquinamento nel Vallo di Diano: dimenticavo, forse il Vallo di Diano, battuto solo dalla Terra dei fuochi è il campione indiscusso delle migliaia di micro discariche dissiminate ai margini delle periferie di ogni singolo villaggio del territorio. Il primo incipit.
    Si aggiungano anche alla mistura del rifiuto, processi come lo spopolamento e l’abbandono della categoria Giovani, da sempre proiettata verso altri lidi perché, solitamente alle giustificazioni addote per l’improvvisa dipartita, è la totale mancanza di opportunità di vita e di dignità che questa terra ha riservato solo a coloro che hanno piegato la politica alle loro miserande carriere di vita.
    I vari livelli delle istituzioni locali sono diventati loculi in cui deabulano sempre gli stessi pensieri, gli stessi specialisti, dottori, avvocati e quant’altro e alcuni addirittura sono divenuti un tutt’uno con la poltrona (si veda il caso del presidente della comunità montana Vallo di Diano), nonostante sul territorio siano piovuti infinità di finanziamenti che hanno generato solo un inteminabile deserto di intenzioni. E a questa inamovibile marmorea presa di posizione della politica si deve la completa assenza di strutture che in parte avrebbero potuto alleviare lo stillicidio di professionalità, di crescita e di uno slancio vero verso il definitivo voltar pagina. Il secondo incipit.
    Poi all’improvviso, un gruppo industriale decide di trasferire la propria attività di produzione in un’area industrale vocata a fare questo, in altre parole dotata delle infrastrutture con le quali un’azienda persegue il proprio obiettivo: fare impresa e partecipare alla costruzione di una redditività, parte della quale distribuita a caduta sul territorio. Qualcuno ha mai lavorato in una fonderia? Quali potrebbero essere i pericoli derivanti da questa attività? Qualcuno ne è a conoscenza? Tutti coloro che sono contrari al progetto sono disponibili a dare delle risposte certe su questo particolare settore del manufatturiero italiano?
    Vi pongo un altro interrogativo: a proposito di territorio vocato all’agricoltura: nel Vallo di Diano è possibile farla intensiva e differenziata tanto da assicurare retribuzioni accettabili per gli operatori e lauti guadagni per gli impresari agricoli? Oppure basta solo la propagandata salubrità del prodotto locale a comporre filiera e distribuzione e di conseguenza opportunità di lavoro? Reintegrando il dato sullo spopolamento, tutto questo non è palese da nessuna parte.
    La vera paura, invece, risiede nel fatto che l’introduzione di un nuovo modello di sviluppo possa nel lungo periodo sparigliare il tavolo da gioco a cui partecipano i politicanti valdianesi, in altre parole, un sistema con il quale porre a regime tutte le risorse del terittorio e in primis gli investimenti mirati alle politiche attive del lavoro; la dignità restituita da una regolare busta paga e da un continuo flusso di risorse generato dall’indotto industriale e da altri settori che inevitabilmente ne beneficerebbero, potrebbero filnalmente realizzare il sogno di numerosi abitanti del luogo, aflitti da un infinito precariato e da un piatto bisogno di sopravvivenza.
    I segnali di questo svolta epocale si avvertono ovunque, la batosta elettorale del maggior partito sinistrato della sinistra ne è testimonianza, la strategia del contentino e della subdola carta dell’ambientalismo esasperato è fallita, il postificio o la cassa integrazione eterna nei pubblici uffici devono divenire solo archeologia del lavoro, la chiamata al lavoro e alla dignità d’ora innanzi deveno essere le parole d’ordine prioritarie per arginare e oblitarare il puzzo e il tanfo di una gestione meramente personalistica della cosa pubblica. Concetti estranei a molti, ma necessari perché senza nessun ripiegamento di questi logori intenti, i servitori della gleba scemeranno e quelli che resteranno, inalberati, vorticheranno bastoni e vorranno soluzioni al conclamato declino.

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