Rivolgersi alla giustizia per avere giustizia ed essere poi costretto a rinunciare alla giustizia per evitare una ulteriore ingiustizia.
Un gioco di parole un po’ contorto ma che sintetizza la brutta avventura giudiziaria di Nino Paternoster, imprenditore di San Pietro al Tanagro che, per cercare, senza riuscirci, di recuperare un credito di seimila Euro nei confronti di una società di Capaccio si è visto costretto a rinunciare alle sue pretese perché le spese di “giustizia” che stava sostenendo avevano raggiunto quasi doppio del credito vantato e andando avanti la cifra sborsata per avere quello che gli spettava avrebbe raggiunto il triplo del credito.
Tutto inizia circa 3 anni fa quando Paternoster viene contattato da uno dei soci della società di Capaccio per l’acquisto di alcune apparecchiature audio e video.
L’imprenditore valdianese, confidando anche sulla presenza nella società di una azienda importante del settore edilizio, garanzia per lui di solvibilità, fornisce il materiale richiesto. Per il pagamento riceve degli assegni e quando va ad incassarli scopre che risultano scoperti.
I tentativi bonari di recupero del credito falliscono e decide così di rivolgersi alla giustizia civile per far valere le sue ragioni. Va detto che in tutta questa storia i giudici che si sono occupati della questione non hanno alcuna responsabilità. L’unico responsabile è il sistema e la legislazione vigente che di fatto rende la vita facile ai “furbetti” e prova ne è l’epilogo di questa storia.
Paternoster, tramite il suo avvocato, fa il decreto ingiuntivo nei confronti della società quindi viene fatto il precetto e si arriva al pignoramento di un immobile nel comune di Capaccio. Fatti tutti gli adempimenti si arriva in sede di fissazione della vendita.
Nel frattempo l’imprenditore aveva già sborsato circa 3500 Euro per la perizia che ha portato alla valutazione dell’immobile (valutato circa 330mila Euro), questa cifra si aggiunge ai duemila Euro già sborsati in precedenza per altre spese legate al procedimento giudiziario.
Il giudice però, poiché l’immobile era intestato a due persone, aveva ordinato che venisse istituito un altro processo per la divisione dell’immobile in modo tale da mettere in vendita solo la metà di proprietà del debitore. Il malcapitato imprenditore a questo punto decide di tirare i remi in barca e rinunciare all’azione giudiziaria perché questo ennesimo passaggio gli sarebbe costato altri diecimila Euro circa per far fare una nuova perizia per la divisione dell’immobile e per l’iscrizione a ruolo della causa per la divisione. Alla fine oltre al danno di 6mila Euro ha perso anche altri 7mila Euro per le spese processuali e se fosse andato avanti avrebbe dovuto sborsarne altri 10mila.
“Sono stato costretto a firmare l’atto di rinuncia per la prosecuzione della vicenda giudiziaria, altrimenti – ha dichiarato Nino Paternoster – oltre al danno subito, sarei andato incontro a una beffa assurda e a costi insostenibili per la mia famiglia. Una vicenda nata male e finita peggio in cui mi sono trovato vittima di un meccanismo veramente incomprensibile. E’ chiaro che è quantomeno imbarazzante, per chi ha subito un furto “legalizzato” come quello che ho subito io, continuare a credere ancora nella giustizia. Io ho sempre lavorato onestamente, pagando le tasse e rispettando sempre la legge; chi deve tutelare quelle persone che, come me, alla fine non hanno nessuna protezione dalle normative vigenti in materia? In definitiva, per avere quanto mi spetta, a chi mi dovrei rivolgere, se lo Stato, attraverso i suoi strumenti, non mi protegge e tutela? E’ forse così che si finisce tra le braccia di quelle persone che utilizzano altri strumenti definiti “illeciti”, per avere ragione del maltolto?”
– Erminio Cioffi –
