Incontrare Giancarlo Guercio vuol dire “caricarsi” sempre di nuovo entusiasmo, che è capace di trasmettere a chiunque, poiché è sempre con impegno, passione, grande umanità che Giancarlo affronta la vita ed i casi umani che gli si presentano, dando spesso voce a chi purtroppo non ce l’ha più.
Capace di sorriderti anche mentre ti coinvolge in iniziative importanti, Giancarlo Guercio è impegnato molto nella vita politica e sociale e, come autore, attore, regista e direttore della sua Compagnia “Skenai Teatro”, propone sempre un Teatro capace di avere un ruolo di denuncia e di cambiamento, difficile da presentare soprattutto nella società di oggi e ben lontano dal mare di vele e veline in cui affonda oggi lo spettacolo.
- Quando è nata in te la passione per il Teatro?
Molto presto. Ero un bambino di 6 anni, quando ho “interpretato” il mio primo ruolo in un recitina alle scuole elementari. Poi le esperienze scolastiche che sono seguite anche alle Medie e alle Superiori hanno influito molto.
- Che percorso di studi hai intrapreso per realizzarti in questa arte?
Mi sono laureato in Lettere in un percorso di arte e spettacolo con una tesi sul sacro nella drammaturgia di Annibale Ruccello, drammaturgo e regista napoletano scomparso prematuramente nel 1986.
Durante le scuole superiori avevo seguito dei laboratori di Scenidea a Salerno, poi durante gli anni dell’università ho conosciuto un po’ di registi e soprattutto il drammaturgo Enzo Moscato a Napoli.
- Quale emozioni provi prima di entrare in scena e quando sei sul palcoscenico?
Un’emozione davvero impossibile da spiegare.
Un mix di sensazioni, di pulsioni… una “botta di vita”, in cui senti che sei terribilmente vivo e che ti stai abbandonando per diventare un altro. L’adrenalina sale alle stelle, gli acidi riempiono la vescica, ti senti scoppiare, ma è una magnifica azione di messa in gioco.
Sai che tanti occhi ti osserveranno, che molti saranno critici, anche spietati, che ogni spettatore si aspetta qualcosa, un’emozione, soprattutto; e tu sei contento perché ti stai dando in pasto a quel pubblico. Un gioco meraviglioso tra eros e thanatos.
- Pensi che un palcoscenico sia, per certi versi, un luogo “magico”?
E’ magia pura, è un luogo indescrivibile. Ciò che si vede non corrisponde a ciò che produce e questo solo grazie a una magia, a un “effetto” che si può verificare solo in scena.
Le quinte nere, meglio se di panno pesante, le tavole del palcoscenico, la polvere che si staglia contro i fari obliqui… sono elementi che rendono magico, misterioso, onirico un luogo reale.
- Credi nel ruolo sociale del Teatro?
Oggi soprattutto il teatro deve assumere un ruolo sociale.
Il teatro è lo specchio della vita e riflette tutte le circostanze e le vicende umane.
Quelle felici e quelle dolorose. A mio avviso oggi il teatro ha l’arduo compito di scuotere le coscienze, di permettere una riappropriazione delle identità individuali e collettive.
Questo enorme potere che detiene il teatro lo avevano capito e messo in atto già i greci.
Le tragedie fanno questo: insegnano, ammoniscono, spiegano gli avvenimenti. Da tempo ho rivolto le mie attenzioni artistiche all’antropologia teatrale e ho sperimentato un filone di Dinamiche Metateatrali proprio per applicare il teatro ad una dimensione più umana e meno scenica.
Il teatro sociale è un teatro utile e oggi deve essere utilizzato per aiutare a ricostruire un’etica nuova: il teatro può farlo meglio di altri mezzi.
- C’è stato un autore teatrale che ammiri particolarmente e perché?
Amo diversi drammaturghi. Quelli del nuovo filone napoletano per le belle intuizioni e sperimentazioni avute.
Tra loro, il mio guru resta Ruccello, perché mi ci rivedo, come percorso di vita, come stile di vita e d’arte, nelle letture, nelle riflessioni sull’esistenza.
E il “Ferdinando” resta una summa non solo sua, ma di un filone e di una intera drammaturgia. E aver firmato la regia del “Ferdinando” tradotto in siciliano resta una delle soddisfazioni più grandi del mio percorso professionale.
Quali difficoltà incontra oggi chi vuole “fare teatro”?
Avere pochi spazi e poco sostegno dalle istituzioni e della programmazione pubblica.
Quasi come se non ci si credesse più e che l’attore o una compagnia fossero abbandonati ad un loro imperscrutabile destino. Un vero peccato, perché il teatro, la letteratura teatrale è un patrimonio culturale italiano vastissimo e di grande importanza in modo assoluto.
Penso a Machiavelli, a Goldoni, a Pirandello, a Pasolini, ma se ne potrebbero citare davvero tanti. In secondo luogo, il teatro è solitamente fatto da persone che amano quest’arte, che sono disposti a sacrificarsi per esternare e mettere in campo un fuoco sacro da cui non si può prescindere e quindi è un peccato non considerare questa incredibile energia di disponibilità e volontà a lavori anche estenuanti. Infine, è un peccato non avere un inquadramento contrattuale moderno, aggiornato. Quello dell’attore o del regista non è considerato un lavoro vero e proprio.
E’ solo quando si arriva alle grosse produzioni o alle compagnie di giro che si riesce ad avere un inquadramento lavorativo. Ma c’è alla base una miriade, un pullulare infinito di compagnie, gruppi e associazioni che fanno teatro in modo dignitosissimo e davvero interessante, ma sono poco riconosciute. Bisogna insistere e crederci, crederci fino in fondo.
- Quali sono gli “ingredienti” per essere un bravo attore?
Mettersi in gioco interamente e totalmente. Avere il coraggio di annullarsi, di abbandonarsi ad un entità sconosciuta, incerta. E poi avere il corpo sempre teso, come una corda di violino, sempre pronto a suonare, sempre caldo; curare le espressioni, quelle verbali per ultime, saper giocare, saper riconoscere i ruoli, saper ascoltare e osservare.
- Quanto pensi che serva frequentare una Scuola di teatro o un’Accademia? E quanto è importante imparare dalla strada o facendo la famosa gavetta?
La scuola è importante perché ti insegna le tecniche e i metodi. Sono un paletto fondamentale e imprescindibile. Bisogna conoscere la storia del teatro,la letteratura, bisogna perfezionare la scrittura drammaturgica, la storia della regia e della messinscena, le teorie e tecniche dei comparti luce e suono.
Tutto questo e tanto altro ancora lo insegna la scuola, lo puoi trovare in un’accademia, e serve!
Ma, come dicevo prima, l’ascolto e l’osservazione sono tra le migliori doti di un attore o di un operatore teatrale.
E queste si perfezionano sul campo, sulla scena, stando accanto al regista mentre lavora al suo spettacolo, ascoltandolo mentre chiacchiera con i suoi collaboratori, stando accanto a lui, sorseggiando un brandy intorno ad un caminetto, d’inverno.
E questo si ottiene quando si ha la fortuna di avere accanto un Maestro.
- E tu ne hai avuto uno?
Più di uno, ma il più significativo, l’intellettuale più interessante che ho incontrato si chiama Enzo Lovisi e come me è di questa terra.
- Oltre ad essere attore, sei anche autore delle opere che rappresenti ed anche regista teatrale. Qual è il ruolo più difficile e complesso?
Ognuno di questi ruoli ha le sue difficoltà e sono molto diverse tra loro.
La scrittura dipende molto dalla capacità immaginativa, dal fermento mentale.
Puoi scrivere un testo in una sola notte, e ne sai qualcosa… L’attore è un mondo a parte: segue un metodo che sostanzialmente è unico per tutti i personaggi, ma ogni volta è come se fosse la prima volta, per le differenze dei personaggi, per le differenze emotive e intellettuali dell’attore, per i contesti e i collaboratori con cui si opera… tante ragioni!
Il regista è forse quello più complesso, non in senso di difficoltà, quanto di elementi e fasi articolate. Ma è molto gratificante: la capacità di concretare una visione. Un lavoro meraviglioso!
- Il 7 Dicembre debutterai a Vallo della Lucania con “Quem queritis. Il caso Mastrogiovanni”, come mai hai pensato di portare sulla scena questo caso di cronaca?
Perchè è un fatto crudo, di profonda ingiustizia; un episodio che si poteva e doveva evitare. Ho voluto lavorarci teatralmente perché è una vicenda emozionante e forte ed io ero alla ricerca di un testo che fosse capace di emozionare, ma anche di far riflettere.
E’ nato così il desiderio di lavorare su questo caso. Ho avuto la fortuna di trovare un intero comitato, “Verità e giustizia per Franco” e la famiglia Mastrogiovanni che mi hanno aiutato nella ricognizione dei materiali e nella organizzazione dell’evento scenico.
- Hai un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe tanto crescere professionalmente, inquadrarmi meglio in questo settore, esportare dei lavori nei vari teatri e collaborare con realtà estere.
Mi farebbe davvero piacere vedere realizzata un’idea che maturo da anni, spesso condivisa con altri amici operatori del teatro della zona, di avviare un progetto di Accademia dello Spettacolo, delle Arti Sceniche nel Vallo di Diano.
Perché non crederci? Le più vicine sono a Salerno, a Cosenza, a Bari.
Perché non interporci tra queste importanti realtà con una nostra struttura scolastica importante, che sappia creare delle professionalità, che sappia essere competitiva con altre strutture, che sperimenti, che ricerchi.
Si può fare con poco e devo dire che ciò che sta succedendo i questi giorni, la Consulta delle associazioni teatrali, il Laboratorio di arte scenica sono una cosa che fa brillare gli occhi, perché è il primo gradino proprio verso la creazione dell’Accademia.
- In un’epoca come la nostra, in cui la televisione anestetizza la mente, pensi che il Teatro abbia la forza per risvegliarla?
E’ una delle poche cose che può fare. Ne ha tutti i poteri. La televisione ci rende passivi, ci inchioda ad un divano, ci fa assistere con distacco. Il teatro è l’opposto. Il teatro ci vuole vivi, critici, attivi. E’ ciò che serve alla società di oggi.
NOTIZIE SULL’ARTISTA
Laureato in Lettere Moderne, responsabile di zona di S.E.L., impegnato nel sociale, da sempre appassionato di teatro e di regia, Giancarlo Guercio vive a Buonabitacolo, in provincia di Salerno. Speaker e giornalista televisivo, autore, attore e regista, ha ricevuto numerosi premi Premi , tra cui quelli come Miglior Attore nella Rassegna “Monteatro” nel 2006 e nella Rassegna “Nuovespressioni”, nel 2007 a Milano, oltre al riconoscimento speciale per i suoi successi artistici nel Premio “Buxentum”.
Attualmente è impegnato come referente ed insegnante nello Stage di Dinamiche metateatrali che si tiene nel Centro Sociale “Cupola “di Buonabitacolo, come Direttore del “Laboratorio di Arti Sceniche ed Espressioni Teatrali” a Sassano.
Con la sua Compagnia “Skenai Teatro” sta portando in scena nei teatri italiani “Quem quesitis?” , opera teatrale che ripropone il “caso” del maestro Franco Mastrogiovanni, morto il 4 agosto 2009, dopo 83 ore di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania.
– Paola Testaferrata –