“Non vogliamo aggiungere altre parole alle troppe, e sbagliate, che in queste ultime ore stanno connotando il femminicidio di Violeta Mihaela Venchiu. Quando ancora stamani chi ne scrive o parla lo tratta quale un atto di follia, ci rendiamo conto di quanto si continui ostinatamente a pensare che uccidere una donna, bruciandola viva dopo avere deciso che quella fosse la sua fine, sia imputabile ad incapacità di intendere e di volere. NO!”
A dichiararlo è il Comitato Se Non Ora Quando – Vallo di Diano capeggiato da Rosy Pepe in merito al femminicidio di Violeta Mihaela Senchiu.
“Come ben sostiene il professore Claudio Mencacci della Società Italiana di Psichiatria – spiega il Comitato – nonché direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano si dimostra che, in oltre 400 casi, solo il 3,6 % degli uomini che hanno ucciso una donna erano portatori di una malattia mentale. Nella stragrande maggioranza ci troviamo, infatti, davanti a uomini che hanno comportamenti violenti, aggressivi, prepotenti, semplicemente una personalità antisociale ed egoistica, che non tollerano la possibilità per la donna di operare scelte diverse e autonome. Di fronte a questo diritto in capo alle donne, che si concretizza anche nella facoltà di contestare ai propri partner comportamenti che impattano violentemente sulla loro vita, nonché su quella dei propri figli, non ci troviamo di fronte a semplici “litigi o conflitti”, che diventerebbero, come si scrive sui media, la causa del femminicidio. NO! Se Violeta, come le altre, troppe, vittime della violenza maschile, è stata barbaramente uccisa non è perché litigava con il suo aguzzino, ma perché questo boia ha deciso di ucciderla in maniera orribile. Non cadiamo per l’ennesima volta nell’errore di fare divenire anche Violeta colpevole della sua orrenda fine, attribuendole la responsabilità di litigare con il suo compagno”.
“Non facciamole morire una seconda o più volte – continua il Comitato – gettandole addosso non la benzina ma parole sbagliate, quali quelle usate in rete di essere corresponsabili della loro morte, perché non hanno avuto il coraggio di denunciare i soprusi e la violenza di cui erano vittime in ambito familiare. Se quel coraggio non ce l’hanno è perché non sentono i giusti stimoli esterni per agirlo come, ad esempio, un maggiore controllo da parte degli organi preposti, spesso sordi alle loro grida di aiuto. Le istituzioni deputate al contrasto della violenza di genere dovrebbero mettere in campo altre prassi, perché se tutto resta così com’è, nulla cambierà sul fronte dei femminicidi. Continueremo ogni anno, in occasione del 25 novembre a fare l’elenco delle vittime dell’anno in corso, come una sorta di inevitabile e tragica conta numerica, con il rischio che la rassegnazione ci prenda e che l’impotenza ci assalga”.
“Si colga – conclude – lo spunto offerto da questa tragedia per ragionare su cosa c’è che non vada nel modo in cui le istituzioni affrontano la violenza familiare, in modo da invertire la rotta. Così daremo anche un valore diverso alla morte di Violeta, che non sarà solo un numero nella sciagurata lista delle vittime di femminicidio. Nel suo nome tentiamo di cambiare l’approccio verso la violenza maschile sulle donne, ognuno per le sue competenze e possibilità, e, forse, la tragedia di questa donna potrà contribuire ad evitarne altre. Glielo dobbiamo, tutti e tutte, perché altrimenti a perdere la vita sarà stata indubbiamente Violeta, ma ad essere sconfitti saremmo tutti, nessuno escluso”.
– Claudia Monaco –
- Articolo correlato:
5/11/2018 – Non ce l’ha fatta la donna rimasta ustionata a Sala Consilina. Il compagno arrestato per omicidio