25 novembre: “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. 1 dicembre: 2 donne vengono barbaramente uccise in provincia di Salerno. Teatro dei macabri omicidi due centri molto vicini al Vallo di Diano, Postiglione e Vibonati.
Pierangela Gareffa e Maria D’Antonio conoscevano molto bene i loro carnefici: non avevano volti sconosciuti, ma quelle mani che le hanno massacrate erano le stesse dalle quali avevano ricevuto tenerezze e carezze.
L’odio folle acceca, porta a detestare con tutte le forze anche la madre dei propri figli. Ogni cosa viene cancellata: non esistono più i ricordi, non esiste nessuna forma di affetto, di rispetto. Più niente. Solo la volontà di uccidere. Ed ecco allora che Cosimo Pagnani prende un’arma da caccia con una lama di venti centimetri e massacra l’ex moglie con tanta violenza da ferire anche se stesso. “Sei morta troia”, è l’ultima frase che rivolge alla moglie, condividendola su facebook, gesto spregevole ed ignobile.
Pierangela, la 39enne di Vibonati, presenta una profonda ferita da arma da taglio. Il marito riferisce che si era fatta male con una ringhiera. La versione dei fatti non convince i Carabinieri, che fermano l’uomo. L’arma utilizzata è un coltello da cucina con una lama di trenta centimetri. I due litigavano spesso in maniera furiosa. Il figlio dodicenne della coppia era in casa mentre avveniva l’omicidio.
Non ci sono parole di fronte a tanta violenza, non ci sono spiegazioni, ora c’è solo un silenzio assordante. Viene da chiedersi, con rabbia ed indignazione: ma a cosa serve una giornata dedicata a contrastare la violenza sulle donne quando, in poche ore e nella stessa provincia, due donne vengono uccise con una violenza che fa rabbrividire?
E’ difficile rispondere ora, ci sentiamo ancora confusi e frastornati. Cosa succede nelle famiglie? Come può l’amore trasformarsi in un odio tanto profondo? Come possono i figli sopravvivere di fronte ad un dolore così intenso? Nemmeno a queste domande ci sono risposte ora. Però non dobbiamo arrenderci. Continuiamo a tenere alta l’attenzione, continuiamo a parlare della “cultura del rispetto” ogni giorno, senza stancarci, continuiamo a costruirla. Continuiamo a sensibilizzare, continuiamo a dire che bisogna denunciare la violenza che si subisce tra le mura di casa prima che sia troppo tardi.
Dobbiamo crederci. Le Istituzioni, la scuola, la politica, la Chiesa, le forze dell’ordine: nessuno è escluso da questo discorso. Ognuno di noi è chiamato ad un atto di responsabilità .
Il pensiero va anche ai figli delle due coppie, una bambina di 7 anni e un ragazzino di 12 anni, altre due vittime dell’odio e della violenza: come spiegare, come far capire che il papà ha ucciso la mamma perchè non voleva che lei si rifacesse una vita? Come spiegare che la violenza non è la strada che risolve i problemi? Anche a queste domande ora non riusciamo a rispondere.
Resta il silenzio. Ma non può e non deve fermarsi il cammino per la costruzione di una vera “cultura del rispetto” per mettere la parola “fine” a tante storie di sangue e violenza perpetrata nei confronti di ragazze e donne.
– Filomena Chiappardo –
